- “Je m’en fous. Alla lettera non mi importa o io me ne frego.
Poche parole per riassumere una storia andata male.
Una storia durata quattro lunghi ed interminabili anni.
Sono stata delusa, umiliata, tradita e perfino picchiata da quello che pensavo essere l’uomo della mia vita.
Nelle vite degli uomini prepotenti non c’è spazio per un’altra donna.
L’ho capito tardi a mie spese.
Avevo consegnato nelle sue mani egoiste il mio essere per chissà quale interesse superiore.
Ne sono uscita vittoriosa e perdente allo stesso tempo come quei giorni in cui in cielo c’è il sole alto ma piove a catenelle.
Mi trascinavo ogni giorno nel percorso di vita insieme con la sola forza delle braccia e con le gambe della mia autostima amputate.
Questo periodo tetro, oltre le macchie di inchiostro che mi porto sulla pelle che mi ricordano cosa non devo volere dalla vita, mi ha causato una continua mancanza di fiducia nelle persone che mi circondano, anche in quelle che mi vogliono bene, minando di fatto alla radice dei rapporti con le persone.
Quando dimentico quello che ho passato, guardo il mio avambraccio e ripeto a me stessa je m’en fous.
Io me ne frego.
Io me ne fotto”.
Month: Gennaio 2017
Pasquale – Libertà
“La sento la potenza dell’arte.
Questo tattoo rappresenta l’opera dello street artist Banksy apparso sui muri inglesi verso la fine del 2002.
L’opera raffigura una bambina a cui sfugge un palloncino a forma di cuore con in basso una scritta che recita “c’è sempre speranza”.
La prima volta che vidi quest’opera, la sentii subito mia.
Sapevo che doveva essere parte di me.
Percepivo la forza dirompente di un dipinto lasciato per strada su di un muro cadente.
Voleva dirmi qualcosa. Ora vedo volare via quel palloncino all’elio su per il cielo.
Chissà dove è finito. Da piccolo me lo facevo comprare proprio per questo motivo.
Non volevo che mi venisse legato al polso, lo stringevo tra le mani per un po’ e poi, quando era giunto il momento lo lasciavo libero.
Fluttuava tra le nuvole verso chissà quale meta.
Proprio come dovrebbero essere le nostre vite e quelle delle persone che ci sono vicine: quando la presa è troppo stretta forse è meglio lasciare che il vento le porti via. Invece si resta legati con l’auspicio che qualcosa possa cambiare, perché nonostante tutto…c’è sempre speranza”.
Fabiana – 15.20
“Ridevo a piedi scalzi, con indosso una tutina a strisce che aveva una toppa di un elefantino,
mentre i tuoi occhi sembrano avvolgermi in un vortice di affetto.
Mamma, io rido mentre resto immersa in questo composto strano che è l’amore.
Rido come riflesso inconsapevole, di una gioia infinita.
Nel buio dei giorni a venire, mi faccio luce con la tua stella, la più luminosa sulla mia pelle,
quella che insieme al resto della costellazione familiare mi orienta in questo profondo disordine quotidiano.
Ogni giorno alle 15.20 mi capita di guardare l’orologio e sentirmi per un attimo trafitta nuovamente da una lama, ugualmente fredda come quell’ uggioso pomeriggio di qualche anno fa.
Nel momento in cui il materiale si è trasformato in immateriale, in ogni dove, mi tocco la testa ricordandomi che in fin dei conti continui ad orientare le mie azioni come quando da piccola mi accarezzavi il capo per farmi mangiare l’ultimo boccone.
Oggi questi bocconi li cucino e li preparo tra gli afosi fornelli di una cucina,
ricordandomi sempre che certi vuoti non li posso più riempire,
al massimo posso far finta di non vederli”.