“Sulla carta d’identità, nella sezione “professione” ho ancora scritto studente. Studio ancora. Studio sempre per migliorare la mia posizione.
Lo studio, l’approfondimento, la curiosità, sono le uniche armi che mi sono rimaste e che ancora non sono state sequestrate da un mondo armato fino ai denti di scalatori sociali e arrivisti incravattati.
Quando tre anni fa decisi di abbracciare il tortuoso cammino della professione artistica, sapevo a cosa andavo incontro. Destinato ad una vita di sacrifici ed incertezze. Una vita precaria. Instabile.
Ma chi ventenne oggi può dire di avere una posizione salda? Cosa c’è di stabile in un contratto bimestrale per lavorare in un fast food di provincia e servire pepsi e hamburger con uno stipendio di trecento euro al mese?
Quindi fanculo: “mamma, papà faccio il tatuatore!”.
Tre anni fa mi iscrissi al corso per imparare l’arte del tatuaggio e le tecniche rudimentali di questo bellissimo lavoro artigianale. Cominciai ad essere la cavia di me stesso. Mi tatuavo sul corpo per fare esperienza e prendere il tratto.
Tra i primi tatuaggi, mi incisi sul ginocchio la sigla C/S appartenente alla cultura chicana. È un codice di vita e di condotta che alla lettera si traduce “con rispetto”. In un’intervista, l’artista David Compton Orpeza ha affermato che con safos è uno stile di vita. Sta a significare
“sapere cos’è il rispetto, riconoscerlo, sapere che persona si è e cosa hanno fatto alla mia gente”.