“Un’uggiosa giornata di agosto mi ha ricordato che può piovere anche d’estate.
Il 29 agosto per la precisione. Una di quelle giornate in cui l’estate comincia a prendere le sembianze dell’autunno senza saperlo.
Qualche giorno prima avevo avuto un campanello d’allarme.
Se ci penso, l’espressione campanello d’allarme è un ossimoro.
I campanelli anticipano l’arrivo di cose belle, di persone gradite che bussano e si accomodano in casa.
Il loro dindondare rimanda ad un’infanzia non tanto lontana di quando le persone ancora suonavano alla porta per domandarti semplicemente “come va?”.
Se accostiamo la parola campanello ad allarme, cambia tutto il senso.
L’allarme mi mette in tensione. Mi ricorda che qualcosa non sta andando per il verso giusto, che c’è un’intrusione, che occorre ritornare alla normalità.
I campanelli d’allarme pungolano l’anima come chiodi arrugginiti, facendo diventare uno scolapasta qualunque animo sereno.
Quel 29 agosto di qualche anno fa mi hanno comunicato che ero stata colpita da un tumore. Colpita. Appunto.
All’improvviso e senza un motivo. Come un sasso lasciato cadere da un ponte che per qualche assurda ragione mi ha ferito proprio mentre ero lì io che passeggiavo beata.
Il 29 agosto ho scoperto di essermi ammalata allo specchio. Mi osservavo nuda. Sola. Ho visto d’un tratto la mia femminilità mutata. Mi ritornarono alla mente le nozioni di medicina che mio marito ripeteva a voce alta durante il periodo universitario. A distanza di anni cominciavano a rimbombare quelle nozioni fredde di medicina che sentivo così lontane. Pagine di libri con nomi scientifici e tecniche di autopalpazione.
Abbiamo l’abitudine di pensare sempre che queste cose possano accadere agli altri. È una sorta di autodifesa personale. Aiuta a vivere.
Il male quando è lontano non fa paura. Per qualche motivo senza una ragione, la sorte ha deciso di giocare con la mia vita e di consegnarmi la ricevuta di un biglietto sfortunato. Il ticket che in poco più di ventiquattro ore mi ha portato dalla mia variopinta casa, ad una sterile e fredda sala operatoria
Mi sono sentita svuotata del mio essere donna. Sono stata colpita nella mia femminilità.
Senza più capelli e con una malatja che si che si tentava di sconfiggere all’interno del mio corpo.
Un polpo che attaccato con le ventose alle mie forme ha tentato di stritolarmi in una morsa asfissiante. È stato un brutto colpo.
La prova più difficile è convivere con la paura della morte.
Paura non della mia morte, ma della reazione ad una mia mancanza definitiva nella vita dei miei cari.
Avevo paura della morte nei miei amori.
Il periodo più buio è passato.
Ogni volta che effettuo un controllo ed attendo l’esito dell’ecografia sul lettino stropicciato del mio medico, vedo la paura che mi spia dal retro della tendina dello studio.
È lì. Sempre. Ogni volta. La paura c’è sempre.
Ma il coraggio è più forte. ”
….mi hai fatto venire la pelle d’oca…. il tuo coraggio ti accompagnerà sempre….un abbraccio fortissimo
Ho vissuto la stessa esperienza. La paura non ti abbandona mai, ma il coraggio di vivere è più forte e vai avanti assaporando quello che di bello la vita ancora ci riserva.
Non conosco rosaria profondamente ma mi ha sempre colpito la sua forza. …una forza che si percepisce a pelle semplicemente guardandola negli occhi. …e che adesso ritrovo leggendo queste righe.
Sono convinta che il suo coraggio e la sua determinazione siano farmaci essenziali per chi come lei ha incontrato la paura così da vicino. Con profonda stima ed ammirazione. ..carla