“Il mio primo tattoo l’ho fatto a trentanove anni. In poco meno di un anno ne ho fatti già tre. È l’inizio di un percorso che mi porterà verso il tatuaggio numero sette. Ognuno è una polaroid della mia vita incisa su pelle. È una strada fatta di aghi e colori che ha un inizio ed una fine, un beat sparato a mostro che comincia e poi finisce. Come tutte le cose. Quelle belle e quelle brutte.
Sul bicipite c’è il pezzo della mia vita. La mia terra, il mio quartiere, mio padre ed il suo lavoro che mi ha fatto diventare quello che sono.
Lo ringrazio per le sudate quotidiane e le sue giornate intere sul taxi. Sgattaiolava per le vie di Napoli trasportando turisti, professionisti e gente comune. Conosceva Napoli più della sue tasche. Con un orecchio al sedile posteriore, raccoglieva le storie fugaci mentre con sguardo vigile sulla strada, accompagnava i suoi clienti alle mete indicate.
Questo è quello che da lui ho ereditato: la consapevolezza del duro lavoro per raggiungere gli obiettivi prefissati e i sensi vigili sulla strada per ascoltare ed osservare il mondo liquido nel quale sono immerso. Grazie a lui, ho capito che sia in taxi che nella vita occorre muoversi, fare i passi avanti, macinare chilometri, perché tanto il tassametro continua a correre.
Ora camminamm assiem pure si nun ce sta cchiù. Fianco a fianco.
Tra l’immagine del taxi e quella di mio padre si eleva la statua di San Gaetano, la sua piazza e la sua gente. Qui il bambino cattivo che è in me ha mosso i primi passi nel mondo del rap. Con LA FAMIGLIA, i 99 POSSE e i SANGUE MOSTRO poi. Un bambino cattivo che a breve tornerà in quelle strade a far sentire la sua voce per l’anniversario dei suoi venti anni.
Per quanto riguarda invece il mio avambraccio, ho inciso una trama biomeccanica. L’ho tatuata prima di un intervento importante allo stomaco. Volevo evocare un aiuto. Avevo bisogno di protezione. Una protezione interstellare. È un omaggio alla saga Star Wars Episodio V- L’ Impero colpisce ancora dove Luke Skywalker perde la mano durante uno scontro violento e poi questa gli ricresce.
Ora senza perdere l’entusiasmo che avevo quando ho cominciato ad intrecciare parole all’età di dodici anni, mi sento vivo ogni volta che impugno un microfono.
Il piccolo Cenzou spicca il volo e plana tra le rime incastrate come alici sotto sale.
Ed ogni volta è sempre la stessa storia. Quando salgo sul palco e sento gli applausi della gente, i ragazzi che conoscono a bomba ogni parola del testo e le tavole del palco che scricchiolano, mi rendo conto che questa è la Cosa più bellissima del mondo.”