Comunicare Con il Corpo – Il Tatuaggio Ieri e Oggi

Modificando volontariamente il proprio corpo l’uomo compiva un gesto denso di significato: la macchia sotto pelle era prettamente umana, un segno di cultura. Le tracce che il tatuaggio fosse diffuso nell’antichità sono numerosissime, i casi più eclatanti sono quelli che riguardano ritrovamenti di mummie sulle quali sono chiaramente visibili i disegni incisi migliaia di anni fa.

Le origini del tatuaggio si perdono nella notte dei tempi: non è possIbile dire con certezza quando l’uomo ha preso coscienza di questo gesto, probabilmente le prime incisioni sottocutanee sono state casuali, ma sicuramente dopo i primi incidenti l’uomo ha capito la possibilità di procurarsi segni in maniera volontaria.

I suoi confini, sia spaziali che temporali, sono labili e sfuggenti: il tatuaggio è conosciuto in tutte le parti della Terra ed è possibile che sia stato inventato più di una volta: è cioè possibile che si siano sviluppate le condizioni tecniche, ambientali e socioculturali che ne hanno permesso la nascita in concomitanza, o in tempi vicini, in diverse parti del globo terrestre.

Il tatuaggio ha accompagnato l’uomo fin dai suoi albori: l’incisione della pelle è stato una dei primi gesti volontari che l’uomo ha compiuto su se stesso per differenziarsi dagli animali.

Comunicare Con il Corpo – Il Tatuaggio Ieri e Oggi
L’evoluzione del tatuaggio in 10.000 anni di storia
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Presentazione del libro SOTTOPELLE di Pippo Zarrella

Come sapete a dare voce alle persone che si raccontano su storie sottopelle c’è lo scrittore Pippo Zarrella che il 27 ottobre 2017 a Cava de’ Tirreni presenterà il suo libro “Sottopelle”.
Il progetto fotograficoletterario e il libro sono due progetti distinti che tuttavia viaggiano su binari paralleli.
Il libro NON conterrà le nostre/vostre storie ma sicuramente prenderà ispirazione dal mondo dei tatuaggi e dei tatuati.
Facciamo un grande in bocca al lupo a Zarrella e vi annunciamo che durante la serata di presentazione ci sarà uno spazio speciale dedicato a tutti NOI, le persone che fanno parte del progetto Storie Sottopelle.

Intanto vi giriamo l’invito… voi cominciate a tenervi pronti e liberi!

Carmen – Sineddoche

L’amore cos’è?
Me lo sono chiesta per lungo tempo.
Nel corso degli anni mi sono data sempre una risposta in negativo.
L’amore non è.
Ogni giorno capivo sempre in più, aggiungendo qualcosa alla lista di ciò che per me non era amore.
Non era amore tante cose.
Da qualche tempo invece ho capito cos’è l’amore.
L’amore è concedersi. Scambiarsi. Ricollocarsi nella vita dell’altro senza sentire il peso del cambiamento.
L’amore è donare un pezzo di sé.
Regalarlo all’altro per riceverne il doppio.
Una moltiplicazione del proprio io che ha depennato dal mio vocabolario la parola “io” e l’ha sostituita con la parola “noi”.
Una strana addizione dove Io + Te dà come risultato un Noi impegnativo, che mi fa affrontare le cose in modo diverso.
Io so che sei al mio fianco e mi sosterrai quando ne avrò bisogno senza interferire sul mio percorso.
Mi sono concessa alla tua arte. Sono diventata la tua tela bianca sulla quale imprimere parte di te.
Mi sono sentita protagonista di un’opera più grande della semplice rappresentazione artistica.
Quello che tatuavi era solo un accenno dell’opera intera: noi. Io e te. Un amore sottopelle che crea legami duraturi. Eterni.
Ed io ho capito cos’è l’amore.
Concedendo a te una parte di me, il mio tattoo è una figura retorica che rappresenta una parte per il tutto.
Il mio amore per te è una sineddoche.

Carmen – Sineddoche

Rosaria – Luna Park

Salgo quanto più in alto è possibile e poi mi lancio nel vuoto. Salgo fino a su e guardo tutti dall’alto.
Li vedo al sicuro nelle loro vite mentre si gustano lo zucchero filato o la mela candita,  e poi mi lancio a tutta velocità tra le nuvole, con i capelli sciolti e il vento che mi accarezza il viso.
Nelle montagne russe si può leggere la parola inglese giddy, vertiginoso.
Mi nutro di queste sensazioni, perché a me piace stare così, restare ferma quasi al limite di una vertigine.
È la paura che muove ogni azione. Nient’altro.
È la paura che spinge ogni cosa.
Scesa dalle montagne russe, salgo sulla ruota panoramica mentre il giostraio invita i bambini a salire.
I giorni trascorrono in questo modo strano.
A volte sei in alto, ti senti invincibile a due passi dal cielo, altre volte sei giù senza riuscire a godere della bellezza del panorama.
La cosa che mi consola è che su ogni avvenimento o persona nel quale mi imbatto, ne ho una visione completa.
Vedo le cose in prospettive diverse in modo da apprezzarne tutte le sfumature, dall’alto così come dal basso.

Vivo in un luna-park. Tra luci al neon ed umani giostrai.

 

 


 

Rosaria – Luna Park

Morena – Wonderland

“Per quanto tempo è per sempre? A volte, solo un secondo. A volte solo un tatuaggio.
Luci lampeggianti ed io ho  preso una strada sbagliata e sono caduta  nella tana del coniglio.
Qui nulla è come sembra. La chiamano  Wonderland.
Cerco una ragione nella Regina Cattiva e non la trovo.
Mi lascio avvolgere dai fumi del Brucaliffo tentando di rispondere alle sue domande esistenziali:
Chi essere io? Lo dovrei sapere chi sono, eppure a volte ho qualche dubbio.
Mi basterebbe rincorrere un Bianconiglio, una meta da conquistare, un obiettivo da seguire. A volte invece mi sembra di restare seduta al cospetto del Cappellaio Matto e della Lepre Marzolina.
Vorrei sedermi e bere il tè, ma appena prendo la tazzina qualcuno mi cambia di posto.
L’unica certezza nel mondo delle meraviglie è la mia sorella. Un legame Aδιάλυτος, indissolubile che abbiamo formalizzato ufficialmente durante la nostra vacanza in Grecia.
Lei è la mia unica certezza, l’unica persona con la quale riesco ad affrontare questo pazzo mondo di Wonderland. Un mondo che lascia il segno. Come cicatrici su pelle morbida. Come esperienze di vita da addentare insieme senza troppe domande.
Ti guardo e contemplo  l’odore del mare, la sabbia sotto le dita, l’aria e il vento, cercando una risposta che  nessuno finora è riuscito a dare:  perché i tramonti son pupazzi da levare?”

      

Morena –  Wonderland

Alessandro – Liste d’attesa

Nessuno mi ha  mai avvertito. Nessun medico mi ha mai messo in guardia. Il corpo mi lanciava le sue richieste d’aiuto. Ero stanco ed affaticato. Io però non le ascoltavo. Pensavo fosse stress miscelato a disturbi gastrointestinali. Non avevo capito niente. Il mio corpo parlava la sua lingua e nessun medico riusciva a tradurre. Così un giorno qualcuno dalle viscere  ha lanciato l’ultimo urlo d’aiuto. Mi sono accasciato al suolo. All’improvviso.  Qualche mese prima mi ero tatuato sulle braccia le due parole: heart e head. Testa e cuore. Quello che è necessario per andare avanti nella vita. Un segno premonitore. L’inconscio che batteva i piedi per farsi sentire. Cuore e mente. Quel cuore però aveva qualche problema. Non funzionava più a dovere, era un motore invecchiato in un corpo di un’auto appena uscita dalla concessionaria. Andava sostituto. Un pezzo di ricambio che non è possibile aggiustare con un intervento manutentivo. Entrai il lista d’attesa. Qualcuno doveva morire affinché io potessi vivere. Che storia la vita. Un tizio qualunque in Italia colpito da chissà quale disgrazia si stava donando a me, perfetto sconosciuto.
In questa fase dove il mio cuore malaticcio aveva bisogno d’aiuto ho trovato una donna con una forza d’animo incredibile che mi accudiva e mi ha donato il suo di cuore restando in vita al mio fianco ogni attimo. Una donna capace di far smuovere grattacieli e far volare elicotteri. Proprio quelli che all’improvviso sfrecciavano per i cieli per ritirare in chissà quale parte d’Italia un organo da donare. C’era una priorità. Nella lista d’attesa ero prima del cardiopatico cinquantenne, ma dopo al ragazzo di diciott’anni. Guardavo dalle vetrate trasparenti dell’ospedale gli elicotteri volare in cielo che andavano a ritirare gli organi donati  per poi impiantarli nel minor tempo possibile. Ogni volta che un elicottero accendeva i motori pensavo che era il mio viaggio. Quello giusto. Quello per me. Quello che andava a prelevare il cuore da un ignoto giovane benefattore.  Una notte d’Agosto è stato il giorno giusto. Una notte d’Agosto è stato il mio giorno.  L’attesa era terminata. Il  mio cuore poteva essere sostituto.
Oggi vivo con tre cuori perfettamente sincronizzati.  Il mio nuovo, quello vecchio e quello della donna che mi affianca tutt’ora, donando il suo cuore ogni giorno senza perdere la vita. Quanta eternità c’è in un battito.

Alessandro – Liste d’attesa

ESSERI DI PELLE

Ricoprire la propria pelle con dei segni, significa voler rendere visibile ciò che altrimenti resterebbe nascosto. È un voler portare fuori qualcosa che si ha dentro, senza avere però il desiderio di staccarsene del tutto.

Tatuarsi è tatuare il proprio sé. Tatuare una pelle implica riconoscersi nella propria pelle, considerarla parte essenziale e significativa della propria immagine di sé. Perché la pelle è una superficie della nostra identità, è la frontiera del nostro essere, ciò che traghetta il nostro io più intimo con quello percepito dagli altri. La pelle è la nostra frontiera con il mondo: ci separa da quello che sta fuori e, al contempo, ci consente di poter entrare e restare in contatto con i nostri simili.

Se ci soffermiamo a pensarci, i nostri occhi non vedono che pelli; le nostre mani non toccano che pelli, frammenti di pelle.

La pelle morbida ed elastica dei neonati; quella un po’ più ruvida dei bambini; quella pigmentata e brufolosa degli adolescenti; la pelle perfettamente solida ed armonica dei giovani; la pelle matura e densa degli adulti; quella raggrinzita, secca e sempre più floscia degli anziani.

Come se ognuno di noi non fosse altro che quella complessa tela che nasconde le nostre ossa: una barriera che ci protegge e al contempo ci isola e che in pochi millimetri divide l’universo esterno da quello interno.

Pur non essendoci alcuna prova che aldilà di quelle pelli che percepiamo così distintamente si nasconda anche negli altri una coscienza simile a quella che noi abbiamo di noi stessi, agiamo come se così fosse. Il cervello umano è strutturato in modo tale da farci percepire gli altri esseri umani, ricoperti di pelli simili alle nostre, come se fossero contenitori di menti, coscienze, anime, o spiriti che li rendono vivi a partire dal di dentro.

L’evoluzione ci ha convertiti in abili osservatori dei comportamenti dei nostri simili; i nostri cervelli sono in grado di captare anche i più minimi gesti o mutamenti della pelle che ricopre i volti dei nostri simili. Non possiamo leggere direttamente nella mente degli altri, ma siamo abilissimi a leggerne i segnali impressi sulla loro pelle.

La pelle ci espone e ci protegge, ha la funzione di una delicata frontiera. Si tratta di una frontiera evidentemente alquanto porosa, che vigila e ci avvisa in caso di pericoli ambientali incombenti. È l’organo più esteso e al contempo tra i più fragili che compongono il nostro organismo: una pellicola sottile ed evanescente, dal peso complessivo di circa tre chili, con un’estensione di quasi due metri quadrati e uno spessore che non va oltre un massimo di tre millimetri.

È anche relativamente molto fragile. Indica tante cose. La parte interna di noi può esprimersi attraverso la pelle. Anche il carattere; quella strana parola con la quale talvolta tendiamo a identificare il nostro particolare e specifico modo di essere al mondo.

La pelle e i frammenti di pelle disegnati sui volti e sui frammenti di corpo che osservo in queste foto, sembrano rinviare a un tentativo di superare quella barriera che la nostra natura organica ci impone di percepire come un dentro e un fuori, per far emergere l’incontro; sono dentro e sono fuori; sono l’incontro. Sono la relazione. Quanto più inattese e sorprendenti sono, tanto esse più richiedono lo sforzo della nostra immaginazione, della nostra creatività. Superare la barriera delle pelli altrui grazie alle interpretazioni dei segni che in esse percepiamo, significa creare una forma di relazione meno banale e più profonda con l’altro. diversamente, non ci resterebbe che una distanza incomprensibile; vedremmo un mostro.

E difatti, ad un occhio passivo e distratto, esterno e distaccato, non coinvolto e insensibile alle intenzioni di chi le ha prodotte e di chi le ha fatte incidere sulla propria pelle, incrostandole fin dentro la parte più intima di sé, esse appaiono mostruose; mentre ad un occhio attivo, desideroso di approssimarsi all’altro in maniera non convenzionale, provare a riconoscere cosa si cela dietro quei segni, potrebbe aiutarlo a condividere l’essenza più umana dell’umano; quella che manifesta in ogni creazione artistica genuina.

Vedere mostri produce mostri. E ogni epoca genera i suoi mostri. Non bisogna però mai dimenticare che i peggiori mostri sono quelli che non si ha il coraggio di mostrare.

Gianfranco Pecchinenda

www.gianfrancopecchinenda.it

ESSERI DI PELLE

Vincenzo (Speaker Cenzou) – La Cosa più bellissima del mondo

“Il mio primo tattoo l’ho fatto a trentanove anni. In poco meno di un anno ne ho fatti già tre. È l’inizio di un percorso che mi porterà verso il tatuaggio numero sette. Ognuno è una polaroid della mia vita incisa su pelle. È una strada fatta di aghi e colori che ha un inizio ed una fine, un beat sparato a mostro che comincia e poi finisce. Come tutte le cose. Quelle belle e quelle brutte.

Sul bicipite c’è il pezzo della mia vita. La mia terra, il mio quartiere, mio padre ed il suo lavoro che mi ha fatto diventare quello che sono.
Lo ringrazio per le sudate quotidiane e le sue giornate intere sul taxi. Sgattaiolava per le vie di Napoli trasportando turisti, professionisti e gente comune. Conosceva Napoli più della sue tasche. Con un orecchio al sedile posteriore, raccoglieva le storie fugaci mentre con sguardo vigile sulla strada,  accompagnava i suoi clienti alle mete indicate.
Questo è quello che da lui ho ereditato: la consapevolezza del duro lavoro per raggiungere gli obiettivi prefissati e i sensi vigili sulla strada per ascoltare ed osservare il mondo liquido nel quale sono immerso.  Grazie a lui, ho capito che   sia in taxi che nella vita occorre muoversi, fare i passi avanti, macinare chilometri,  perché tanto il tassametro continua a correre.
Ora camminamm assiem pure si nun ce sta cchiù. Fianco a fianco.
Tra l’immagine del taxi e quella di mio padre si eleva la statua di San Gaetano, la sua piazza e la sua gente. Qui il bambino cattivo che è in me ha mosso i primi passi nel mondo del rap. Con LA FAMIGLIA, i 99 POSSE e i SANGUE MOSTRO poi.  Un bambino cattivo che a breve tornerà in quelle strade a far sentire la sua voce per l’anniversario dei suoi venti anni.
Per quanto riguarda invece il mio avambraccio, ho inciso una trama  biomeccanica. L’ho tatuata prima di un intervento importante allo stomaco. Volevo evocare un aiuto. Avevo bisogno di protezione. Una protezione  interstellare. È un omaggio alla saga Star Wars Episodio V- L’ Impero colpisce ancora dove Luke Skywalker perde la mano durante uno scontro violento e poi questa gli ricresce.
Ora senza perdere l’entusiasmo che avevo  quando ho cominciato ad intrecciare parole all’età di dodici anni, mi sento vivo ogni volta che impugno un microfono.
Il piccolo Cenzou spicca il volo e plana tra le rime incastrate come alici sotto sale.
Ed ogni volta è sempre la stessa storia. Quando salgo sul palco e sento gli applausi della gente, i ragazzi che conoscono a bomba ogni parola del testo e le tavole del palco che scricchiolano,  mi rendo conto che questa è la Cosa più bellissima del mondo.”

Vincenzo (Speaker Cenzou)  – La Cosa più bellissima del mondo

Tatuaggi e fragilità

Aveva tatuato un drago sul polpaccio e colori forti e brillanti su tutto il corpo. I suoi tatuaggi come la sua musica regalavano ai fan una facciata da duro, una corazza da dio invincibile del rock.
Ma la realtà è che spesso l’arte, la musica, la letteratura e, lo stiamo scoprendo, anche la scelta di un tatuaggio raccontano invece storie diverse, storie di una fragilità senza rimedio leggibile solo a chi sa guardare tra le righe senza pregiudizio.
Qualcuno ha definito studi come il nostro di storie sottopelle una sorta di
“antropologia dell’autostima e dell’identità.”
Noi ci crediamo fortemente e a volte c’illudiamo che il messaggio di saper leggere un tatuaggio come una porta verso il dentro di un’anima possa arrivare alle tante persone che invece pensano che sia pura estetica, moda e basta, superficialità o peggio lo specchio di una durezza del cuore.
I tatuaggi sono espressioni culturali di individualismo, possono essere voci sussurrate o canti o persino grida disperate.
Ma ascoltare con gli occhi non è per tutti.
Ci girano nella testa le fiamme rosso e blu sui polsi di Chester Bennington mentre tende le mani verso il pubblico, il tatuaggio a forma di fede mentre stringe forte il microfono, la scritta sulla schiena, l’indelebile nome Linking Park – simbolo di successi senza fine che evidentemente non sono bastati ad alleviare un peso, un dolore grande, cresciuto dentro fino a dire basta, persino alla vita. [A. P.]

Tatuaggi e fragilità

PIZZA E NON SOLO … 99POSSE E TERRONI UNITI

Farina, acqua, lievito, pomodoro, mozzarella e basilico. Qualche minuto nella bocca infernale del forno a legna e la magia è fatta.
Per i più temerari invece c’è un’enorme nuvola di pasta ripiena di ricotta pepe e cigoli. Il calzone è  fritto in un olio talmente limpido che anche Narciso avrebbe cominciato a mordersi di gusto se solo si fosse specchiato nell’olio della friggitrice della festa.
E poi cuoppi. Tanti cuoppi.  Si badi bene. Cuoppo non inteso come donna/uomo dai tratti somatici non proprio in linea ai canoni di bellezza greca, ma riferito alla carta paglia per alimenti avvolta al fine di creare una struttura conoidale per  custodire gemme fritte, arancine, panzarotti e crocchette.
E poi… gente. Tanta gente. Fiumi di birra, zeppole e crepes con nutella.
Un calcetto lunghissimo rapisce l’attenzione di ogni bambino. Tavolate di persone sorridenti.
Cellulari al cielo per catturare per qualche secondo le note dei 99 posse  in un’aria di libertà dai profumi da  vicolo di Amsterdam.
Poi il resto viene da sé. Quando c’è cibo e  gente che si diverte nascono le idee migliori. Ed in questa sede,  a Pizza e non solo di Nocera Superiore, che abbiamo ascoltato le Storie Sottopelle di Luca Persico ai più conosciuto come O’Zulù,  frontman dei 99 posse, quella di Vincenzo Speaker Cenzou e Oyoshe  del progetto Terroni Uniti.

PIZZA E NON SOLO … 99POSSE E TERRONI UNITI