Simone – Mariantonia e Agostino

“Un topolino porta in grembo i suoi figli per trenta giorni.
La gravidanza di mamma elefante può durarne seicento.
Mia moglie, Mariantonia si è presa cura nel suo corpo di Agostino, nostro figlio, per poco meno di nove mesi.
Agostino l’ho portato in grembo anche io per molto tempo.
Era nato in me, già da qualche anno. Addormentato tra i miei pensieri, si svegliava all’improvviso ogni qualvolta la mia compagna di vita mi sorrideva con i suoi occhioni grandi e il suo viso perfetto come un’antica bambola di porcellana.
Poi il frutto di un amore nato quindici anni prima, tra sguardi complici e birre d’estate ha fatto il suo corso.
Ogni anno aggiungevamo un pezzetto di puzzle della nostra vita, fin quando un giorno senza farsi tante domande ci siamo sposati.
Così all’improvviso, senza una richiesta ufficiale come avviene nei film americani ci siamo trovati all’altare.
Ora siamo una famiglia pronta ad accogliere una nuova vita.
È in arrivo una sorellina per il piccolo Agostino.
Un altro motivo di orgoglio per me.
Un altro motivo di orgoglio per Mariantonia.
La mia donna. La mia-donna. La mia ma-donna”.

 

Simone – Mariantonia e Agostino

Simone – Dalla parte del torto


“La vita stanca. Ho bisogno di sedermi.
Ho trovato le sedie delle ragione sempre occupate, per questo ho cominciato a prender posto dalla parte del torto.
All’inizio stavo scomodo, poi c’ho preso gusto.
Osservo impietosito il perbenista di turno che mi punta il dito con disprezzo.
Ha le mani pulite e la coscienza sporca.
Cosa cazzo hai da guardare?
Avevo bisogno di una pazzia, di un gesto estremo, di qualcosa che lasciasse una traccia.
Volevo uno segno di riconoscimento, qualcosa che mi facesse urlare al mondo: questo sono io.
Punto.
Fin da piccolo osservavo incuriosito gli insetti, ne ammiravo la perfezione della natura che si sviluppava attraverso le forme di questi esseri piccolissimi.
Tra i tanti ero rapito dalla bellezza e dall’eleganza dello scarabeo Golia.
La grandezza di questo insetto è nel fatto che all’inizio della sua vita, da larva, si nutre di piante morte e di escrementi. Trasforma il rifiuto in vita per se stesso. Quanti rifiuti personali si sono trasformati in lezioni di vita? Per questo, ora resto seduto comodamente sulla sedia del torto, osservando la vita che mi avvolge in un abbraccio sensuale sotto le luci soffuse di questi tramonti, sperando di spiccare il volo, come mi ha insegnato il mio scarabeo tatuato in gola”.

Simone – Dalla parte del torto

Angela – Nessuno


“Il lavoro mi ha divorato dall’interno per lungo tempo. Si è preso prima la mia mente e poi il mio cuore.

Per anni ho dedicato la mia vita solo al lavoro, nell’inutile attesa di un weekend che tardava ad arrivare.

Ero spremuta dal datore come un’arancia rossa fino all’ultima goccia. Terminata la jurnata, non ne restava niente. Solo bucce secche e semi. Troppo debole per fare altro. Troppo affaticata per trascorrere tempo con i miei. Troppo stanca per vivere.

In cambio di cosa? Un bonifico alla fine del mese che mi facesse sentire una persona migliore. Una donna sicura ed indipendente. Lavorare inoltre, mi distraeva dalle mie insicurezze, mi teneva lontano da quello che pensavo di me stessa, del mio aspetto fisico, del mio essere inadeguata. Purtroppo però non risolveva il problema, lo nascondeva come candida neve può coprire una montagna di merda.

Ero nessuno.

Quando il sole è stato alto in cielo, ho visto per la prima volta quello che stavo facendo.

Due occhi non bastavano. Avevo bisogno di un terzo, più grande, sempre aperto. Gli occhi per lungo tempo chiusi, ora brillavano di vita propria.

A fatica ho reciso il cappio al collo che mi ero abilmente legata. Ho abbandonato il lavoro che mi aveva sfrattato dalla mia vita. Per vedere cosa c’è sotto al proprio naso, occorre tempo ed un grande sforzo.”

Angela – Nessuno

Roberta- Panico!

“La gola si stringe e il respiro diventa affannoso.
Una sensazione di soffocamento rende impossibile qualsiasi movimento. Resto immobile, in balia di quello che potrà accadere.
Pochi attimi in cui il corpo e la mente si scontrano con le paure più profonde. Soffrire di attacchi di panico è una cosa brutta.
Non c’è avvertimento: il panico arriva a casa, per strada o al cinema.
Un pitone invisibile mi stringe intorno alla gola. Più tento di liberarmi, più resto immobile, ferma. Non c’è via d’uscita.
Non riesco a vedere il mio nemico che si prende gioco di me nell’ombra. Un mal di denti o un dolore articolare lo riconosci, lo senti.
Il panico no: sai che c’è ma non lo vedi. Andavo a scuola, ero a casa o uscivo con le amiche, ma combattevo continuamente con questi demoni.
Un giorno ho cominciato a leggere un libro: Shadow Hunter.
Ho capito che i demoni oscuri potevano essere sconfitti. Terminato il libro, feci un respiro a pieni polmoni.
Una sensazione di leggerezza mi avvolse come un caldo accappatoio di piacere. Non ero sola.
Mi sono tatuata una runa angelica, che nella tradizione germanico-vichinga è utilizzata per uccidere i demoni rendendoli incapaci di autorigenerarsi.
L’esercito del bene mi difendeva dall’oscurità delle mie paure”.

Roberta- Panico!

Ilaria – Rum

“Amo gli animali. Tutti. Senza alcuna differenza di specie.
A rafforzare questa mia consapevolezza, è stato l ‘ arrivo di Rum: il mio dolce cagnolino, ormai parte integrante della mia famiglia.
Dovrebbe essere così facile e naturale amare gli animali: sono eterni bambini da coccolare. Il loro sguardo è puro come la loro anima.
Tutti gli uomini dovrebbero amare come solo un amico a quattro zampe è capace di fare.
Tutti abbiamo il diritto di essere accolti in casa al rientro da lavoro, con salti di gioia ed affetto disinteressato.
Questo mio nuovo modo di concepire la totalità degli esseri viventi, mi ha portato ad abbracciare un’importante idea: l’essere vegetariana.
Ho capito che potevo scegliere.
Siamo noi che decidiamo cosa vogliamo essere.
A tavola come nella vita.
Nessun animale è costretto a morire affinché io possa vivere, e questo mi fa stare bene.
Da quando Rum, è diventato parte integrante di me, ho ribaltato il modo di osservare il mondo che mi circonda.
Ho una zampetta impressa sul mio cuore.
È la sua e quella di tutti gli amici animali”.

Ilaria – Rum

Vincenzo – Giungla

“Quando mi trovo dinanzi ad una tela bianca, mi sento nudo. Mi svesto e tento di imprimere con pennelli, colori e matite il mio io più profondo. Per questo motivo mi ha sempre intimorito mostrare i miei quadri al di fuori del mio laboratorio. Ero nudo e la gente poteva osservare ai raggi X quello che ero. In una giungla abitata da enormi gorilla, tirannosauri e orsi rossi ho rinvenuto uno stato primordiale di arte che mi ha scombussolato le priorità della vita. Ho cominciato a cancellare alcune cose con un enorme pennarello nero, ma più le cancellavo più attiravo l’attenzione su di esse.

Il fatto che fossero oscurate, coperte e nascoste mi portava a leggerle con maggiore attenzione e curiosità, portandomele dietro come pesanti zavorre emotive.

Oggi voglio capire in che periodo sono immerso, come verranno catalogati questi anni da un punto di vista artistico? Forse viviamo in una completa sintesi chimica di tutti i precedenti? Ad ogni modo quello che resta è l’opera. Forse neanche più il quadro, la tela o i colori. Forse l’arte siamo noi. Costantemente alla ricerca di qualcosa che forse non troveremo mai.”

 

 

 

Vincenzo – Giungla

Valentina – Il Fiore di Loto

“Io e il mio compagno Claudio, abbiamo desiderato Desire a lungo.
In un momento stagnante della nostra vita avevamo bisogno di uno spiraglio di luce.
Nelle acque buie di una pozza d’acqua senza vita, il fiore di loto fa della melma la sua forza e riesce a mettere lunghe radici salendo fino in superficie per sbocciare in tutta la sua bellezza.
Questa è Desire, il nostro piccolo e stupendo fiore di loto con i suoi petali setosi e delicati, nata dal buio dei giorni vissuti dopo la perdita nella nostra seconda bimba.
Una figlia mai nata, che non ha potuto sentire il calore di un abbraccio della sua mamma o di una carezza del suo papà.
Ed ogni volta che Desire corre al parco con le altre amichette o abbraccia il papà quando stanco e con le mani ruvide torna da lavoro, so che un pezzetto di quella mia figlia mai conosciuta, la custodisce senza saperlo Desire, come un ciondolo invisibile che solo i suoi genitori hanno il potere di vedere”.

 

 

 

 

 

Valentina – Il Fiore di Loto

Giacomo – A Tua Difesa

“Le mie radici sono conficcate in questa terra, tra queste genti di mare con il sangue misto.
Questa è la mia Città: Taranto. Il luogo dove sono nato e quello dove sono cresciuto che ora raggiungo ogni volta che posso.
Il calcio ha reso ancora più forte il legame con la mia terra. Ogni tifoso è un arciere che combatte a difesa della sua città,
proprio come recita l’incisione in greco sulla mia pelle (nonostante l’errore grammaticale causato dal mio professore delle superiori).
Un accento sbagliato, ma il contenuto non cambia.

Ogni cittadino di Taranto deve difendere la sua terra al di là dei novanta minuti domenicali trascorsi allo Stadio Iacovone.
Noi tarantini, da colonia della Magna Grecia e Terra dei Delfini ora siamo diventati colonia americana insieme alla Marina Militare e Terra di Tumori grazie al plesso industriale ILVA.

A difesa della Città. Resto qui. Restiamo qui. Fermi. Ogni giorno. Senza fare mai un passo indietro”.

Giacomo – A Tua Difesa

Giovanni – Suona Ancora

“All’età di otto anni, strimpellavo già qualche nota con la mia chitarra della Bontempi.
Dopo un po’ quel giocattolo non mi bastava più.
Volevo uno strumento musicale vero.
I miei genitori mi comprarono una chitarra in legno. §
A volte,da piccolo, la posizionavo in verticale e la utilizzavo per controllare la mia altezza.
All’inizio, la chitarra, era più alta di me.
Mi chiedevo come era possibile che un pezzo di legno e qualche corda potesse emettere quelle melodie così coinvolgenti.
Nonostante questo solido legame, durante gli anni di liceo, la mia chitarra rimase sotto al letto ad impolverarsi.
Non era un addio.
Mi aspettava lì in silenzio, senza fretta, nell’attesa che mi decidessi a riabbracciarla.
E così fu.
Un giorno all’improvviso i miei cominciarono ad urlare.
Un vortice di litigi familiari portò la mia famiglia a frantumarsi come un pregiato piatto di Capodimonte.
In quel trambusto, la mia chitarra era pronta a risorgere a nuova vita.
Iniziai un corso settimanale.
Mi esercitavo tutti i giorni a casa.
Questo mi faceva stare bene e mi distoglieva dalla situazione difficile che vivevo in famiglia.
La musica mi ha aiutato davvero tanto.
Quando ero in quella stanzetta con la chitarra in mano, avevo il pensiero rivolto esclusivamente alle note che dovevo suonare.
E questo mi rendeva felice.
Una barriera insonorizzata che soffocava i dispiaceri circostanti.
Ora per non dimenticare l’importanza della mia chitarra, l’ho tatuata qui sull’avambraccio”.

Giovanni – Suona Ancora

Francesca – Amigdala

“Ero stufa di chiedermi cosa si potesse provare a vincere.
Non me ne facevo niente delle briciole, volevo il massimo, ma purtroppo il massimo non è a disposizione.
Tra me e la vittoria c’è un precipizio coperto di piante ed arbusti che non mi consente di capire quanto è profondo il burrone.
Questa è la paura: la non conoscenza di quello che c’è sotto ai piedi.
Posso cadere di sotto o camminare senza problemi per attraversare le sterpaglie e gli arbusti che ricoprono quello che potrebbe essere un precipizio.
La cosa bella è che lo saprò solo una volta che ho fatto il primo passo.
Se mi faccio immobilizzare dalla paura resto aldiquà della vita, ferma, inerme e con l’eterno dubbio che dall’altro lato ci sia qualcosa di buono.
Il dubbio e la paura sono amici stretti, compagni di giochi.
E pensare che studio neuroscienze e conosco in dettaglio quella parte del cervello, l’amigdala, che gestisce le emozioni ed in particolar modo la paura. Puoi conoscere tutti i funzionamenti degli impulsi neurologici, ma quando hai paura non c’è nulla da fare.
La senti arrivare come una mano invisibile che ti accarezza pian piano dalla nuca. Non c’è soluzione.
O forse si: l’amigdalectomia, l’esportazione dell’amigdala.
In questo modo non si sente più paura, non si sente più alcuna emozione, non si sente più niente”.

Francesca – Amigdala